Il 2023 segna un vero e proprio punto di svolta per lo smart working in Italia, smentendo la narrazione, piuttosto diffusa negli ultimi anni, di una sua imminente riduzione. Se è vero che i picchi raggiunti durante la pandemia rappresentavano una situazione straordinaria e difficilmente replicabile, i dati più recenti dimostrano che il lavoro da remoto è ormai diventato una modalità consolidata per una larga fetta di lavoratori.
Oggi, infatti, gli smart worker in Italia hanno raggiunto quota 3,585 milioni, un dato che testimonia una nuova fase di crescita rispetto al 2022, quando erano 3,570 milioni. Questa ripresa, seppur lieve, conferma che lo smart working non è stata una moda passeggera, ma un cambiamento strutturale nel modo di intendere il lavoro.
Il confronto con il periodo pre-Covid è ancora più impressionante: si registra un incremento del 541% rispetto ai numeri del 2019. Questo significa che milioni di lavoratori, aziende e organizzazioni hanno ripensato i propri processi, investendo in tecnologie digitali, piattaforme collaborative e strumenti di cloud computing per permettere ai dipendenti di lavorare ovunque si trovino.
Il fenomeno non riguarda solo le grandi imprese, ma anche le PMI, che hanno compreso i vantaggi dello smart working in termini di riduzione dei costi operativi, maggiore produttività e soddisfazione dei dipendenti. Sempre più aziende, infatti, stanno adottando modelli ibridi, combinando giorni di presenza in ufficio con giornate di lavoro da remoto per garantire flessibilità e un migliore work-life balance.
In prospettiva, lo smart working continuerà a essere uno dei pilastri dell’organizzazione aziendale, richiedendo politiche chiare, attenzione alla cybersecurity e un approccio orientato ai risultati più che al semplice controllo delle ore lavorate.

Aumenta anche nelle PMI
Nel corso del 2023 si registra una crescita significativa del numero di lavoratori da remoto nelle grandi imprese, che oggi rappresentano oltre il 50% del comparto. Parliamo di circa 1,88 milioni di persone, un dato che conferma come le aziende di dimensioni maggiori abbiano adottato in maniera più convinta modelli di lavoro ibrido e politiche di smart working strutturato. Le grandi organizzazioni, infatti, dispongono spesso di maggiori risorse per implementare tecnologie collaborative, piattaforme di videoconferenza e sistemi di gestione digitale dei processi, rendendo il lavoro da remoto una pratica stabile e sostenibile.
Anche le PMI mostrano una tendenza positiva: i lavoratori da remoto in questo segmento hanno raggiunto quota 570mila, pari al 10% della platea potenziale. Sebbene la percentuale sia più contenuta rispetto alle grandi imprese, rappresenta comunque un progresso importante, considerando che molte PMI hanno dovuto avviare processi di digitalizzazione da zero negli ultimi anni.
Si registrano invece lievi diminuzioni nelle microimprese, che contano oggi circa 620mila lavoratori da remoto (pari al 9% del totale), e nella Pubblica Amministrazione, che scende a 515mila addetti, coprendo il 16% del totale. Questi cali possono essere legati a un ritorno parziale in presenza in alcuni comparti e alla difficoltà di mantenere lo smart working laddove mancano investimenti tecnologici o infrastrutture adeguate.
Nel complesso, il quadro del 2023 evidenzia come lo smart working sia ormai una realtà consolidata soprattutto per le aziende strutturate, mentre resta ancora in fase di assestamento per le realtà più piccole e per il settore pubblico. Ciò suggerisce che nei prossimi anni sarà necessario investire ulteriormente in digitalizzazione e in formazione, per garantire un accesso equo e diffuso al lavoro da remoto su tutto il territorio nazionale.
Debuttano modelli strutturati
Quasi tutte le grandi imprese italiane, ben il 96%, prevedono oggi formule di smart working, spesso implementate attraverso modelli strutturati e regolamentati da policy aziendali chiare. Questo dimostra che il lavoro da remoto non è più un’eccezione, ma un elemento integrante delle strategie di organizzazione aziendale. Non si tratta solo di offrire ai dipendenti la possibilità di lavorare da casa, ma di ridisegnare processi, obiettivi e strumenti per garantire produttività e collaborazione anche a distanza.
Interessante notare che circa il 20% di queste imprese si sta spingendo oltre, impegnandosi ad estendere l’applicazione dello smart working anche a profili tecnici e operativi, storicamente esclusi da questa possibilità. Grazie a nuove tecnologie, come piattaforme cloud, strumenti di monitoraggio digitale e software di manutenzione predittiva, diventa sempre più facile rendere parzialmente remotizzabili anche attività che richiedevano una presenza costante sul posto di lavoro.
Lo smart working è ormai diffuso anche tra le PMI, con una presenza nel 56% delle aziende di questa categoria. Tuttavia, in molti casi si tratta di modelli informali, gestiti a livello di singoli team o dipartimenti, senza un framework uniforme valido per tutta l’organizzazione. Questa impostazione offre grande flessibilità, ma può generare disparità interne e mancanza di omogeneità nella gestione dei processi.
Nel settore della Pubblica Amministrazione, lo smart working è presente nel 61% degli enti, con iniziative più strutturate soprattutto nelle realtà di maggiori dimensioni. Questo dato testimonia come anche la PA stia abbracciando un modello di lavoro ibrido, spinta dalla necessità di migliorare l’efficienza e di attrarre professionisti qualificati, offrendo un migliore work-life balance.
In prospettiva, la sfida sarà trasformare questi modelli – in particolare nelle PMI e nella PA – in sistemi più omogenei e standardizzati, così da garantire equità, produttività e sostenibilità nel lungo periodo.
Chi sono i veri smart worker?
Non sempre il lavoro da remoto si traduce in modelli realmente “smart”. La differenza tra un semplice lavoro a distanza e un vero smart working sta nella presenza di flessibilità, autonomia sugli orari e obiettivi chiari. I veri smart worker, cioè coloro che hanno la possibilità di organizzare il proprio tempo e raggiungere i risultati senza vincoli rigidi, mostrano livelli di benessere, engagement e soddisfazione professionale decisamente superiori rispetto ai lavoratori che operano esclusivamente in presenza.
Questa libertà di organizzazione consente ai dipendenti di conciliarsi meglio con la vita privata, ridurre i tempi morti legati agli spostamenti e lavorare nei momenti della giornata in cui si sentono più produttivi. Tuttavia, esistono anche sfide importanti: proprio gli smart worker, infatti, risultano più esposti al tecnostress – ovvero lo stress legato all’uso prolungato delle tecnologie digitali – e a fenomeni di overworking, con difficoltà a “staccare” dal lavoro e a definire un confine netto tra vita professionale e personale.
In questo contesto, il ruolo dei manager diventa cruciale. La ricerca dimostra che i dipendenti con un capo realmente “smart”, capace di dare fiducia, stabilire obiettivi chiari e misurare i risultati più che il tempo trascorso online, godono di livelli di benessere psicologico e di performance lavorativa significativamente superiori rispetto a chi ha un capo che esercita un controllo eccessivo o poco strutturato.
Un management moderno non si limita a coordinare le attività, ma diventa un facilitatore: fornisce strumenti, rimuove ostacoli, incoraggia la collaborazione e sostiene il team nella gestione equilibrata del carico di lavoro. Solo così il lavoro da remoto può diventare davvero sostenibile, trasformandosi in un motore di innovazione, motivazione e crescita aziendale.
Migliori risultati per le imprese che seguono i 4 pilastri
I risultati sopra descritti emergono dalla ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, uno dei principali punti di riferimento in Italia per l’analisi dei trend legati al lavoro agile. Lo studio evidenzia come le imprese che adottano iniziative di smart working “mature”, ovvero pienamente sviluppate e integrate nei processi aziendali, ottengano benefici misurabili su più livelli.
In particolare, le aziende che hanno consolidato lo smart working nei suoi 4 pilastri fondamentali – policy organizzative, tecnologie digitali, riorganizzazione degli spazi e comportamenti e stili di leadership – registrano performance superiori in termini di attrazione dei talenti. La possibilità di offrire modalità di lavoro flessibili è oggi un fattore determinante nella scelta di un datore di lavoro, soprattutto per le nuove generazioni, che privilegiano contesti orientati al work-life balance.
Un altro risultato importante riguarda la promozione dell’inclusività: il lavoro da remoto consente di coinvolgere persone con esigenze particolari, ad esempio lavoratori con disabilità o residenti lontano dalle sedi aziendali, ampliando così il bacino di competenze a disposizione.
Inoltre, le imprese “mature” nello smart working registrano un maggior livello di engagement dei dipendenti, che si traduce in maggiore produttività e riduzione del turnover. La possibilità di conciliare meglio vita privata e professionale, insieme a una leadership basata sulla fiducia e non sul controllo, contribuisce a creare un ambiente più motivante e collaborativo.
In definitiva, la ricerca del Politecnico conferma che lo smart working, quando implementato in modo strutturato e sostenuto da una vera trasformazione culturale, non è solo un benefit per i dipendenti, ma una leva strategica per la competitività e l’innovazione delle aziende.
Il ruolo della tecnologia
In quest’ottica, appare evidente il ruolo della tecnologia per far sì che lo smart working sia a tutti gli effetti un plus. A questo proposito, è importante che le aziende si affidino a partner qualificati per tutte le procedure legate alla gestione delle presenze e dei dipendenti.
Cotini ha sviluppato una soluzione adattabile a qualsiasi realtà aziendale, il pacchetto Sfera Cloud. Si tratta di un sistema modulare che consente sia la gestione delle presenze sia tutti i processi HR, dalla creazione dei cedolini per la busta paga all’organizzazione di ferie e permessi. Tutto a portata di mano, anche via app: e la distanza non è più un problema.
Lo smart working fa bene anche all’ambiente
C’è infine un aspetto del lavoro a distanza che spesso viene trascurato, ma che oggi assume un’importanza sempre maggiore: il suo impatto positivo sull’ambiente. Parlare di smart working significa infatti parlare anche di sostenibilità e di riduzione delle emissioni inquinanti.
Ogni giorno milioni di persone si spostano per raggiungere il luogo di lavoro, generando un impatto notevole in termini di traffico, consumo di carburante e emissioni di CO₂. Lo smart working contribuisce a ridurre drasticamente questi spostamenti: secondo stime recenti, con appena due giorni a settimana di lavoro da remoto, è possibile evitare l’emissione di circa 480 kg di CO₂ all’anno per persona. Se questo dato viene moltiplicato per il numero di lavoratori che adottano questa modalità, l’effetto complessivo diventa significativo per l’ambiente.
L’impatto positivo non si limita alla riduzione delle emissioni: meno spostamenti significano anche minore congestione stradale, riduzione del rumore urbano e un miglioramento della qualità dell’aria nelle città. Ciò ha ricadute dirette sul benessere collettivo, riducendo problemi legati all’inquinamento e favorendo uno stile di vita più sostenibile.
Per le aziende, adottare modelli di smart working non è quindi solo una scelta organizzativa o di welfare, ma anche un modo per contribuire ai propri obiettivi ESG (Environmental, Social and Governance). Integrare il lavoro da remoto nelle politiche di sostenibilità aziendale permette di comunicare un impegno concreto verso la tutela dell’ambiente, rafforzando la reputazione e l’attrattività dell’impresa agli occhi di clienti, investitori e dipendenti.
In definitiva, lo smart working rappresenta una leva ecologica da non sottovalutare: ogni giornata di lavoro da casa è un passo verso un futuro più green e una società più attenta all’impatto ambientale delle proprie scelte.
        
            

