Licenziamento per timbratura cartellino — la timbratura del cartellino è uno strumento essenziale per il controllo dell’orario di lavoro, ma in alcuni casi può diventare oggetto di abusi. Tra le pratiche più gravi vi è quella del “cartellino timbrato da altri”, anche detta “timbratura per interposta persona”. Questo comportamento può portare al licenziamento per giusta causa, sia per chi commette l’illecito, sia per chi ne beneficia.
Vediamo cosa dice la normativa italiana, cosa affermano le sentenze più rilevanti, e quali sono le conseguenze legali per il lavoratore.

Che cos’è la falsa timbratura
La falsa timbratura si verifica quando:
- un lavoratore timbra il cartellino per un collega assente (ad esempio all’ingresso o all’uscita), simulando una presenza che in realtà non c’è;
- un dipendente registra l’orario di lavoro pur non trovandosi fisicamente sul posto, sfruttando sistemi di rilevazione poco controllati o accordi informali con altri colleghi;
- viene alterato manualmente o digitalmente il registro delle presenze, modificando dati e orari per nascondere ritardi, assenze o ore non lavorate.
Questi comportamenti costituiscono una grave violazione degli obblighi di correttezza, buona fede e diligenza che ogni lavoratore è tenuto a rispettare secondo l’articolo 2104 del Codice Civile. In alcuni casi, possono addirittura integrare gli estremi di una condotta fraudolenta, con conseguenze sia disciplinari sia legali.
Dal punto di vista aziendale, la falsa timbratura non è soltanto una questione etica, ma rappresenta un danno economico e organizzativo: altera la gestione delle risorse umane, falsifica il conteggio delle ore lavorate e può generare indebiti costi per straordinari o assenze non giustificate. Inoltre, se tali comportamenti emergono durante controlli interni o ispezioni esterne, l’azienda rischia ripercussioni sull’immagine e sulla credibilità.
Le sanzioni nei confronti del lavoratore possono variare a seconda della gravità del fatto e delle politiche interne: si va dal richiamo scritto alla sospensione, fino al licenziamento per giusta causa, qualora venga accertata un’intenzione fraudolenta. In casi particolarmente gravi, la falsificazione potrebbe configurare anche un reato penale, come la truffa ai danni del datore di lavoro.
Il licenziamento per giusta causa
Secondo l’ordinamento italiano, il datore di lavoro può procedere a licenziamento per giusta causa — quindi senza preavviso né indennità sostitutiva — quando il dipendente adotta un comportamento talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. Questa misura estrema è prevista per tutelare l’azienda quando viene compromesso in modo irreparabile il vincolo di fiducia che deve esistere tra le parti.
La falsa timbratura del cartellino rientra pienamente in questa fattispecie, perché costituisce:
- una violazione del dovere di lealtà e correttezza che ogni lavoratore è tenuto a rispettare (artt. 2104 e 2105 c.c.);
- un danno patrimoniale e organizzativo per l’azienda, che si trova a registrare ore di lavoro non effettivamente svolte, con possibili ricadute su pianificazione, turni e calcolo dei costi;
- spesso una lesione dell’immagine aziendale, soprattutto nel settore pubblico o in realtà che hanno rapporti diretti con clienti e fornitori, dove l’integrità e la trasparenza del personale sono elementi fondamentali.
Oltre al licenziamento per giusta causa, la falsa timbratura può avere anche altre conseguenze. In caso di danno economico documentabile, l’azienda può valutare di richiedere un risarcimento; nei casi più gravi, il comportamento potrebbe configurare veri e propri reati penali, come la truffa ai danni del datore di lavoro o la falsificazione di documenti.
Per prevenire simili situazioni, molte imprese stanno adottando sistemi di rilevazione presenze avanzati, come badge con tecnologia RFID, strumenti biometrici o software che registrano accessi e geolocalizzazione. Inoltre, è utile aggiornare i regolamenti aziendali spiegando in modo chiaro che la falsa timbratura è una infrazione disciplinare gravissima e può portare al licenziamento immediato.
Il ruolo delle prove e della sorveglianza
Per procedere legittimamente al licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare con precisione i fatti contestati e raccogliere prove concrete che confermino la condotta scorretta del dipendente. Questo principio è fondamentale per garantire la correttezza del procedimento disciplinare e tutelare l’azienda da eventuali impugnazioni.
In genere, le prove utilizzate includono:
- registrazioni delle videocamere interne, purché siano state regolarmente installate e segnalate ai dipendenti in conformità alle normative sulla privacy e al Garante per la protezione dei dati personali;
- testimonianze di colleghi che abbiano assistito direttamente ai comportamenti irregolari;
- dati informatici o badge elettronici, che registrano gli orari di ingresso e uscita e possono evidenziare anomalie nei turni di lavoro;
- analisi incrociata tra orari di accesso e assenza fisica riscontrata, ad esempio tramite controlli sul posto o verifiche dei responsabili di reparto.
Nel settore pubblico, diversi scandali legati ai cosiddetti “furbetti del cartellino” hanno portato a una stretta normativa e a controlli molto più severi. Gli enti pubblici utilizzano sempre più spesso sistemi di rilevazione presenze avanzati, integrati con strumenti di videosorveglianza autorizzata, per individuare comportamenti fraudolenti e prevenire danni economici e d’immagine.
Giurisprudenza: cosa dicono i tribunali
La Corte di Cassazione si è espressa più volte, negli ultimi anni, confermando in modo costante la legittimità del licenziamento per falsa timbratura e rafforzando l’orientamento secondo cui questo comportamento lede in modo irrimediabile il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente. Le pronunce più significative evidenziano che la gravità della condotta non dipende tanto dall’entità del danno economico, quanto dalla violazione dell’onestà e della correttezza che devono caratterizzare il rapporto di lavoro.
Tra le sentenze più rilevanti:
- Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 25732/2019
Ha confermato il licenziamento di un dipendente che aveva chiesto a un collega di timbrare il cartellino in sua assenza, qualificando la condotta come gravemente lesiva del vincolo fiduciario e incompatibile con la prosecuzione del rapporto di lavoro. - Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 9223/2015
Ha ribadito che anche una sola timbratura falsa può costituire giusta causa di licenziamento, indipendentemente dalla presenza di un danno economico diretto per l’azienda. Il principio fondamentale è che il comportamento mina la fiducia, elemento essenziale del contratto di lavoro. - Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 24110/2022
Ha sottolineato che non rileva il consenso implicito o la tolleranza aziendale verso condotte simili: la violazione resta grave perché riguarda la lealtà e l’affidabilità del dipendente, valori imprescindibili per la collaborazione lavorativa.
Falsa timbratura e reati penali
In alcuni casi, la falsa timbratura può assumere una rilevanza ancora più grave, arrivando a configurare veri e propri reati penali. Ciò accade quando il comportamento del lavoratore non si limita alla violazione degli obblighi contrattuali, ma produce un danno concreto all’azienda o alla pubblica amministrazione.
Le principali ipotesi di reato sono:
- Truffa aggravata ai danni dello Stato o di un ente pubblico (art. 640 c.p.)
Si verifica quando un dipendente pubblico ottiene un indebito vantaggio economico percependo retribuzione senza aver prestato effettivo servizio. - Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico
Avviene se la registrazione della presenza su documenti aventi valore legale (es. registri ufficiali o sistemi certificati) viene falsificata con dichiarazioni non veritiere. - Interruzione di pubblico servizio
Può essere contestata quando l’assenza non autorizzata del lavoratore compromette il regolare funzionamento di un ufficio o di un servizio pubblico, arrecando un danno ai cittadini.
Le sanzioni penali possono essere severe e includere multe significative, sospensione dal pubblico impiego, restituzione delle retribuzioni indebitamente percepite e, nei casi più gravi, anche pena detentiva. Nel settore privato, pur non ricorrendo l’aggravante contro la Pubblica Amministrazione, la truffa ai danni del datore di lavoro può comunque essere perseguita penalmente.
Cosa rischia chi timbra al posto di un collega
Anche chi agevola una frode timbrando al posto di un collega può essere licenziato, poiché partecipe a tutti gli effetti di una condotta illecita. Le aziende e i giudici, infatti, non fanno differenze significative tra chi trae vantaggio diretto dalla falsa timbratura e chi collabora a realizzarla. In altre parole, anche se il lavoratore non ottiene un beneficio personale immediato, il solo fatto di contribuire a falsificare la presenza costituisce un comportamento grave e contrario ai principi di correttezza e buona fede che regolano il rapporto di lavoro.
Un aspetto spesso sottovalutato è che la timbratura al posto di altri rappresenta una vera e propria violazione disciplinare, che può essere contestata con sanzioni fino al licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Le imprese hanno il diritto e il dovere di tutelarsi contro pratiche che alterano la gestione delle presenze e dei tempi di lavoro, generando possibili danni economici e organizzativi. Un’assenza non registrata o una presenza “fittizia” possono comportare un indebito pagamento di ore non lavorate, oltre a falsare dati fondamentali per pianificare turni, ferie e carichi di lavoro.
La giurisprudenza italiana ha più volte confermato che la collaborazione ad atti fraudolenti, come la falsa timbratura, compromette irrimediabilmente il vincolo di fiducia tra datore di lavoro e dipendente. Anche quando l’episodio sembra di scarsa rilevanza — ad esempio per “favorire un amico” o per coprire pochi minuti di ritardo — resta comunque un atto doloso, compiuto con piena consapevolezza di violare le regole aziendali e di arrecare un potenziale danno economico e organizzativo.
Prevenzione e buone prassi aziendali
Per prevenire simili comportamenti, le aziende possono:
- adottare sistemi di rilevazione più sicuri, come quelli biometrici (se conformi alla normativa),
- installare videocamere con segnaletica adeguata (rispettando il GDPR),
- formare il personale sull’importanza dell’etica professionale,
- stabilire un codice disciplinare interno chiaro e visibile, conforme all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
Coclusioni
La falsa timbratura del cartellino è una condotta grave che può compromettere irrimediabilmente il rapporto di lavoro. Le sentenze della Corte di Cassazione e gli orientamenti del Garante confermano che anche un solo episodio può legittimare il licenziamento per giusta causa, senza obbligo di preavviso.
Nel contesto odierno, dove la tracciabilità degli orari è spesso digitalizzata, l’onestà del lavoratore resta un pilastro essenziale nel rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Le imprese, da parte loro, devono agire con trasparenza, correttezza procedurale e nel rispetto della normativa sulla privacy e sui diritti dei lavoratori.


